Tra i rovi della verità. Realismo e post realismo da Zola a DeLillo
Questo testo origina da una convinzione che vuole essere anche, e presuntuosamente, una proposta di lavoro per il nostro difficile presente: esprimendola in modo un po' grezzo, la convinzione è che ogni volta che c'è stata una modificazione sostanziale nella comprensione del mondo, ogni volta che si è reso necessario ridiscutere ordinamenti e percezioni che si stavano perdendo o che si andavano affermando, è stata necessaria una stagione di realismo: per poter afferrare la nuova realtà e, attraverso la sua rappresentazione, governarla. Pensiamo per esempio, tra il XVI e il XVII secolo, alla nascita della "natura morta" come genere pittorico che consegna alle "cose" uno status autonomo, un'importanza inconfutabile e nello stesso tempo le astrae dal "tutto" in cui erano immerse, scaraventandole dall'iperuranio al mondo reale, sostituendo il "nome" e la sua sacralità con una definizione umana e per questo fallace. O, negli stessi anni, all'affermazione del paesaggismo. Potremmo continuare.
Il realismo ottocentesco, il suo anelito tipicizzante si inscrivono in questo schema rudimentale: la nascita dell'industria, la mercificazione del mondo, l'accelerazione del mutamento generano una realtà difficilmente afferrabile, che necessita di una nuova descrizione. Ma con un ostacolo in più: chi prova a rappresentare la nuova realtà si accorge che il progresso, inarrestabile, vanifica ogni sforzo, perché una raffigurazione, per poter essere efficace, deve poter "decantare" il senso della realtà; e il continuo mutamento di quest'ultima rende inane ogni sforzo. Zola lo intuisce, e prova a coniugare gli strumenti del progresso, della "scienza", con il lavoro artistico per dar forma a una nuova immagine del mondo: da questa scommessa nasce il naturalismo, ma il tentativo, nonostante la sua generosità, fallisce.
Si succedono altre stagioni e scuole artistiche: simbolismo, ermetismo, dodecafonia, interpretano, infrangono, dissolvono le immagini che la realtà sembra offrire e negare al tempo stesso, come se non ci si potesse guardare che in uno specchio ridotto in frantumi.
Arriviamo così alla nostra epoca continuando ad avere, accresciuti dai processi di globalizzazione in atto, travolti dalla perdita di ogni senso collettivo del vivere, stretti da tempistiche e cronologie imperscrutabili ai più, gli stessi problemi di Zola: e come allora, incalza la necessità di un nuovo realismo, che intraveda scenari visionari eppure tangibili, che sgretoli il senso del tempo lineare e mortifero, che restituisca la possibilità della speranza e l'urgenza del conflitto per dipanare il groviglio di verità che il nostro mondo custodisce. Un realismo che descriva interpretando il presente per vaticinare il futuro. L'opera di Don DeLillo, dal grande affresco di Underworld alle preziose miniature di Body art o Cosmopolis, ci pare si sia assunta questo compito.
Il testo vuole perciò anche essere un minuscolo omaggio a questo grande scrittore concretamente visionario come Balzac, gelidamente emotivo come Flaubert, profeticamente attuale come Baudelaire: uno scrittore realista per definizione, insomma.
Questa la premessa. Il testo che ne sviluppa il percorso è disponibile su richiesta