Con trasporto
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Autobus 498: inforcati gli occhiali, Maresa guardava attentamente il biglietto che la ragazza le aveva passato cercando di interpretare la calligrafia un po' incerta con cui era vergato: "Via Brunaldi 87", aveva scandito alla fine della decifrazione "Allora, guardi, via Brunaldi è la via parallela a questa", spiegava accompagnandosi con i gesti e parlando lentamente, "le conviene scendere alla prossima fermata, poi attraversa la strada", altri segni, mani che indicavano direzioni e percorsi, "e poi la trova subito lì; la prima, ha capito?, la prima strada parallela a questa" "Grazie", aveva risposto la ragazza, sicuramente straniera, probabilmente araba, certamente incapace di argomentare meglio la sua riconoscenza per l'aiuto ricevuto; intanto lei aveva rimesso a posto gli occhiali da presbite e si era risistemata sul sedile, soddisfatta della sua prestazione.
"Guardi, scusi se intervengo, ma se il numero di via Brunaldi che cerca è l'87, come mi sembra di aver sentito, forse conviene farla scendere a quella dopo, perché la via inizia qui, e altrimenti deve fare un sacco di strada a piedi. Lo so perché al 75 ci abita un mio amico". Si erano voltate tutte e due contemporaneamente verso la voce, Maresa infastidita dall'intrusione, la ragazza incuriosita per aver sentito nuovamente il nome della strada. La voce che si era intromessa nel colloquio apparteneva a un anziano più o meno coscritto di Maresa: "Se scende ora scende all'inizio della via! quella successiva secondo me è più giusta. Scusi se mi immischio, sa, ma è solo per non farla camminare tanto, che aspetta un bambino…" "Camminare in gravidanza fa bene" aveva controbattuto leggermente acida Maresa "ma comunque ha ragione", E, rivolta alla ragazza: "Non subito, a quella dopo le conviene scendere, come suggerisce questo signore. Quella dopo; ha capito? Guardi, stia tranquilla, glielo dico io quando scendere", aveva chiuso sorridendo. Aveva sorriso anche la ragazza; "Solo a lei", aveva notato Gino "probabilmente è una musulmana osservante". Quando era sceso, aveva salutato Maresa: "Buona giornata, e mi scusi ancora se mi sono intromesso prima" "Ma si figuri, ha fatto bene; avevo fatto caso solo alla via e non al numero, e lei ha fatto bene a correggermi! Buona giornata anche a lei!".
L'autobus era fermo al semaforo; Maresa aveva visto il suo occasionale interlocutore estrarre il cellulare, accostarsi alla palina delle linee degli autobus, identificare il numero della fermata, compitarlo sulla schermata dell'app dell'azienda di trasporti, dare uno sguardo all'orologio e accennare a un sobrio gesto di stizza: "Forse ha appena perso la coincidenza", aveva ipotizzato. Poi il mezzo era ripartito e lei, dopo aver riposto con cura gli occhiali nella custodia, si era drizzata appoggiandosi allo schienale e accomodandosi meglio la borsetta in grembo, come per rimettere in ordine sé e il suo intorno: aveva ancora cinque fermate prima di scendere per agguantare la coincidenza con il 118. Voleva fare un giro in centro per guardare i saldi in qualche vetrina; comprare no, aveva già tanta di quella roba che non metteva più! ma le piaceva girare sotto i portici, comparare i prezzi, passeggiare senza una meta precisa. Non quel giorno, però; improvvisamente quella pratica le era sembrata vacua, inutile. Era scesa alla fermata successiva per prendere il 347 in senso inverso e tornare a casa.
Qualche tempo dopo (forse una settimana o due, il tempo che passa è difficile da registrare quando si è in pensione) si erano ritrovati: sul tram 112 questa volta. Lui, Gino, era appena salito alla fermata 226 quando aveva sentito la voce di lei che chiacchierava con un'altra utente della linea, raccontandole pezzi della sua vita: "Non ho mai abitato qui in questa zona, perché mio marito buonanima…". Ma la sua interlocutrice l'aveva fermata: "Mi scusi, devo scendere alla prossima: mi farebbe passare?" "Certo mi scusi lei se l'ho infastidita!" "No, no! è solo che devo scendere, buona giornata". Maresa aveva dovuto alzarsi per far passare la sua effimera conoscenza, seduta tra lei e il finestrino del tram. Alzandosi, si era voltata per girar lo sguardo d'attorno e lo aveva scorto. Gino le aveva sorriso, salutandola: "Buongiorno" "Buongiorno a lei! Vuole sedersi?" "Grazie".
Qualche passo per raggiungere i due sedili ed erano cominciate le chiacchiere, ma: "Scusa, tu sai dove io scendo per via scu… scu… aspetta", e aveva sporto a Gino l'ennesimo bigliettino: "Via Squarzani?", aveva letto lui "Mi sembra tra due, ma non ne sono sicuro". Si era rivolto a Maresa: "Sa se è tra due o tre fermate via Squarzani?". Lei aveva già estratto il cellulare: "Non lo so, ma sto guardando" e dopo pochi secondi: "Meglio tra due". Altri gesti di tutti quanti, indicazione di numeri con le dita, salti con le mani per indicare le fermate, qualche sorriso e cenno del capo. L'uomo che aveva chiesto informazioni si era spostato verso l'uscita, ringraziando ancora con voce allegra: "Eh, poverini, dev'essere difficile per loro, senza conoscere la città e la lingua, spostarsi con i mezzi!", aveva commentato Gino "Chissà se sono proprio così poverini!", aveva commentato malignamente Maresa "Se non lo fossero, sarebbero rimasti a casa loro! Lei avrebbe mai cambiato lingua, abitudini, paese se avesse avuto la possibilità di restare a casa propria?" "Sì, certo, non voglio mica dire… Ma sono tanti!" "Qui sui mezzi sì, perché è difficile per loro comprarsi una macchina, farsi riconoscere la patente, eccetera. Se va in collina, vedrà che ce ne sono molto meno che girano, e quelli che vede sono tutti a fare i servitori delle case dei ricchi" "Ah certo, su questo ha proprio ragione! fanno i lavori che noi, o meglio i nostri giovani, non vogliono più fare! forse la mia è solo invidia, perché…". Si era zittita Maresa, senza riuscire a proseguire, ma Gino si era incuriosito: "Perché?", aveva indagato "Non so, li invidio perché sono giovani e sorridono spesso, cosa che noi non facciamo più. Ecco, invidio la loro gioia, forse! Non tutti, certo, ma molto spesso loro sono così, se non felici almeno sereni", aveva chiuso con un sospiro appena accennato.
"Ha ragione, sa, e forse è per questo che io li difendo sempre e mi accaloro, perché vorrei aiutarli a non perdere questa serenità, come dice lei. Poi è chiaro che qui arriva di tutto, le brave persone come i delinquenti, e quindi diventa difficile giudicare" "Eh lo so! è difficile, difficile davvero…", e si era taciuta. Gino si era guardato un po' in giro, preso da un vago imbarazzo cui si mescolava un po' d'irritazione per aver scoperto un risvolto che non gli piaceva nella sua occasionale compagnia. Stava per accomiatarsi quando Maresa aveva ripreso a parlare, scrutandolo un po' in tralice: "Non pensi, sa, che sono razzista. Io sono di qua, ma mio marito era originario del Polesine, ed era venuto qua perché la sua famiglia lì non aveva da mangiare… Qui aveva il lavoro, ma appena poteva scappava a casa sua… perché qui non si sentiva a casa: sono un ospite, diceva! Quando nostro figlio se n'è andato anche lui, a lavorare in Belgio, lui non si dava pace: 'Ma come, potresti star qui e vuoi andartene?' Io gli dicevo che era diverso, che Antonio, nostro figlio, andava all'estero con un buon lavoro, per far soldi. Ma poi, quando è tornato con una fidanzata belga, lui ha capito che non sarebbe più ritornato in Italia; e allora si è lasciato andare, e un tumore me l'ha portato via in due anni. Questo per dirle che io li capisco, se penso a quanto era amareggiato mio marito di non vivere dov'era nato, e a quanto riescono ad adattarsi invece loro, che sono così lontani dalla loro patria, be'… un po' li invidio! Mi scusi, neh, se l'ho annoiata con queste confidenze".
"No, ma che dice!", aveva reagito Gino "mi fa piacere parlare con lei; e poi è strano, sembra un segno del destino: due volte ci siamo incontrati, due volte ci hanno chiesto indicazioni!", commentava sorridendo "Davvero! si vede che abbiamo la faccia di due di cui ci si può fidare!" "Oppure di due che conoscono bene la città!". Si erano sfiorati con lo sguardo, poi Gino aveva aggiunto: "Ma per caso lei ha un po' di tempo da perdere? Perché io la prossima devo scendere, e se le va le offro volentieri un caffè" "Ma per carità, non si disturbi!" "Nessun disturbo, ma se ha altro da fare non mi offendo" "No, no, io sto solo perdendo tempo perché ho sbagliato l'orario di un appuntamento e… non sapendo cosa fare ho preso il primo mezzo che passava!", si era giustificata lei con un po' di affanno "Allora se ha tempo da perdere scendiamo insieme e suggelliamo la nostra conoscenza davanti a un buon caffè!" "Be', non dico di no!". Suonato per chiamare la fermata, erano scesi avviandosi al bar dall'altra parte della strada che esibiva un allettante dehors all'ombra.
In attesa dell'arrivo delle ordinazioni: cappuccino per lei, caffè macchiato per lui, la conversazione si era un po' arenata. Gino tamburellava con le dita sul piano del tavolino, lei gli osservava le mani notando che le dita non erano ingiallite dalla nicotina: "Non è un fumatore" aveva constatato con soddisfazione "o forse, come me, lo è stato ma ora non lo è più", e le faceva piacere registrare quella consonanza. Arrivato il cameriere con il vassoio e onorato il conto, era stato Gino a riprendere la conversazione: "Comunque, se il destino ha deciso che dovevamo conoscerci, sarà meglio presentarsi: io mi chiamo Luigi, detto Gino, sono divorziato, ho lavorato da operaio specializzato fino a cinque anni fa ma ho la pensione minima perché ho lavorato molti anni in nero, abito in zona Barcarola in una casa piccola ma di proprietà, non ho figli, non fumo… Che altro dire non saprei!", aveva concluso ridendo. E lei aveva subito reagito: "Tocca a me! io sono Maria Teresa, detta Maresa, sono vedova, ho un figlio che, come le ho detto, vive e lavora all'estero, ho l'assegno sociale, anch'io ho una casa piccola che mi ha regalato mio figlio, una volta fumavo ma poi ho smesso. Ah, cucino bene, almeno così dicono tutti!", e si erano sorrisi stringendosi la mano. "E in che zona è la casa che le ha regalato suo figlio?", aveva ancora indagato lui "In Treppeste, di fronte a Barcarola" "Allora siamo quasi vicini!" "Già". E avevano taciuto per finire la colazione che raffreddava.
"Forse le sto facendo far tardi al suo appuntamento!", si era riscosso lui improvvisamente "Quale appuntamento?" aveva chiesto lei sovrappensiero. Poi si era ricordata, arrossendo vistosamente: "No, no, non si preoccupi, ho… ho avvertito che ritardo" "Ah! ma se vuole andiamo via subito e magari arriva in tempo". Ma lei sembrava scombussolata: "Non si sente bene?", aveva chiesto lui preoccupato. "No, no!", e poi, dopo aver inspirato profondamente e abbassato lo sguardo: "Senta, io lo so che farò la figura della stupida, ma devo confessarle una cosa: non avevo nessun appuntamento. Prendo il tram o l'autobus per passare il tempo, perché non so cosa fare a casa, da quando non posso più leggere e ricamare perché la vista se ne sta andando… E allora esco, prendo il primo mezzo che passa, scendo a una fermata dove ce n'è un altro, lo prendo e mi giro la città; e intanto parlo con le persone, a volte infastidendole come stamattina, a volte… a volte conoscendole meglio, come è successo con lei. Mi giudicherà una stupida, adesso, ma… mi spiaceva dirle bugie", aveva chiuso, spossata. Aveva rialzato lo sguardo appena in tempo per vederlo estrarre un fazzoletto, per soffiarsi il naso e contemporaneamente, chissà come mai, asciugarsi gli occhi. Poi Gino aveva abbozzato un mezzo sorriso imbarazzato per confessare anche lui: "È incredibile! Sa che faccio lo stesso anch'io?" "Davvero?" "Sì, ogni mattina di tempo buono. Non in inverno, ché fa troppo freddo, ma nelle altre stagioni almeno due tre volte la settimana. Ho cominciato così, per caso, un giorno che mi era successo davvero di anticipare l'ora di un appuntamento col dentista, e poi non ho più smesso. E mi piace anche rendermi utile dando indicazioni, come fa lei… Lei? E se ci dessimo del tu?".
Avevano continuato il loro giro insieme: prima di scendere alla fermata vicino a casa avevano guardato le previsioni del tempo per fissarsi un appuntamento: "Domani è bello! Ci vediamo alla fermata del 347 alle nove e mezza?" "D'accordo!" "Buona giornata, Gino!" "Altrettanto a te, Maresa!".