Sacha Naspini. Le case del malcontento

16.10.2019

Le case del malcontento è il libro precedente di Sacha Naspini, ma io l'ho letto dopo, dopo che mi ero innamorata della sua prosa chirurgicamente esatta, della sua capacità di eviscerare con gentilezza gli animi, della sua laica pietas per il mondo. Nelle Case ho ritrovato tutti questi elementi, declinati in modo diverso che in Ossigeno; diverso ma ugualmente intrigante.

Il libro si snoda come un serpente tra le strade di una borgata montana raccontando sprazzi di biografie, pulsioni, rancori di un nugolo di persone prigioniere in un luogo incatramato dal tempo; poco l'amore, come se non potesse loro competere se non nella forma dell'istinto sessuale, della tendenza spasmodica a copulare, dell'animalità. Un orizzonte aspro, tenebroso, reso ancora più ossessivo da un linguaggio speziato ma dissacrante, che serve a Naspini per erigere i muri invisibili del carcere in cui fa soccombere i suoi protagonisti: perché anche questo libro ispeziona una prigione, quella da cui è impossibile evadere perché la si è scelta, perché calata addosso con la nascita non permette la fuga; e i personaggi che la abitano scalciano come marionette, inviperite dal dover obbedire a una volontà altrui ma incapaci di reggersi se venissero loro tagliati i fili.

Perché forse per Naspini la libertà, l'unica cui possiamo aspirare, sta solo dentro di noi. Lo fa intuire nelle ultime, struggenti, pagine del libro dove l'unico amore puro, immenso, quello in grado di travalicare confini, di sconfiggere sortilegi, di abbattere galere, è imprigionato anch'esso: in un sogno, e non può darsi davvero.


Sacha Naspini, Le case del malcontento, e/o, Roma 2018

Tutti i diritti riservati 2018
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia