Retrò

25.08.2018

Si era svegliato alla solita ora, quella per andare al lavoro, anche se l'azienda l'aveva licenziato ormai da tre mesi, perché "si era interrotto il rapporto di fiducia", come recitava la formula di rito sulla lettera che gli era stata recapitata; poco importava poi che se ne fosse andato lui, pressato, obbligato, dal sindacato... Rapporto di fiducia? Ipocriti bastardi, rapporto di sudditanza, di subordinazione, di schiavitù sarebbe meglio dire, mormorò una volta di più.

Quante volte al giorno ci pensava, quante volte al giorno annaspava in quel tempo moribondo, cercando disperatamente qualcosa da fare, qualche progetto da iniziare, senza mai trovare un motivo valido per impegnarsi. Ma cosa sono tre mesi contro trent'anni, aveva sospirato, ce ne metterò di tempo ad abituarmi. Eppure quando lavorava il suo orologio biologico era perfettamente in sintonia con la sua vita: sabato e domenica, se non doveva fare straordinario, dormiva tranquillamente fino alle otto e mezza, il lunedì la sveglia interna si riposizionava alle sei e tre quarti; e poi la doccia, la colazione, l'autobus, il lavoro, la mensa, l'uscita, dopo gli altri perché trovava sempre un lavoretto da finire, un file da riguardare, e anche perché erano i momenti più "intimi" con il suo lavoro. Che gli piaceva, che aveva sempre fatto con piacere, che gli mancava. Era stato proprio in uno di quei fazzoletti di tempo ... 

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Questo racconto è pubblicato in Luz Bisetti, A ciascuno la sua solitudine, bookabook, Milano 2019. Cercatelo in libreria! 

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