Ray Bradbury. Molto dopo mezzanotte

Amo la casualità che a volte ci fa incappare in libri e scrittori che poco o nulla hanno a che fare con le ideologie letterarie cui ci piace assoggettarci. Ho acquistato su una bancarella di libri usati un "Oscar fantascienza" d'annata, Molto dopo mezzanotte di Ray Bradbury attratta dal prezzo stracciato e dalla promessa, contenuta nel sottotitolo di altri ventun racconti. Ho sempre amato i racconti, il mio primo inconfutabile e mai tradito amore letterario è stato Guy de Maupassant e, molto dopo ma non meno intenso, Cecov. Li amo a tal punto da non saper scrivere che racconti, e più sono brevi più li amo. Però non amo la fantascienza, se non quella che prefigura un mondo a partire dal nostro, quella che rende visibili paure che non osiamo confessare nemmeno a noi stessi, che ci fa intravvedere un futuro quasi sempre spaventoso ma possibile: 1984 e Fahrenheit 451 li annovero tra questi; li ho letti, e li ho amati. E quindi ho acquistato i racconti pur presumendoli di fantascienza.
E invece Bradbury investiga il presente, inventa poco o nulla di fantasmatico (giusto una macchina del tempo per riportare in vita uno scrittore...), anatomizza i piccoli mondi della porta accanto attento a descrivere, senza mai calpestarli, emozioni, dolori, passioni che disseminiamo nel nostro cammino. Undici racconti (non ventidue, purtroppo, come millantato dal titolo) brevi ma non brevissimi che scandiscono una via crucis in cui amori impossibili, prodigi immaginari, nostalgie cocenti, passati ormai inafferrabili snocciolano il loro portato di afflizione e speranza attraverso una scrittura sobria scevra di verità ma colma di interrogativi. Così dev'essere, se si è davvero scrittori.