Philip Roth. Indignazione

11.07.2018

"Indignazione racconta dell'educazione di un giovane uomo alle terrificanti opportunità e ai bizzarri impedimenti della vita nell'America del 1951": così esordisce la quarta di copertina del libro che termina sistemando questo piccolo capolavoro come "un ulteriore poderoso tassello nella sua analisi dell'impatto della società americana sulla vita di individui vulnerabili". Credo di non aver mai letto sinossi più ciecamente riduttiva di questa . In Indignazione non c'è "opportunità", ma carcere volontario e disperante; gli "impedimenti della vita" sono oggetto di una lotta estrema e tragicamente vittoriosa da parte del protagonista; gli individui (il padre, l'eroe stesso, la sua psicolabile compagna) sono vulnerabili per conto loro, indifferenti all'impatto di una società che stava massacrando se stessa nella guerra di Corea.

E questo strangolante viluppo, illuminato dalla torva luce della galoppante follia del padre, (vero movente di tutta la tragedia) non dà requie alla storia, che denuncia in anticipo il suo esito infausto aumentando così la sua ingovernabile disperazione; è il racconto di un ragazzo che sta morendo, quello che Roth ci propone, adombrando in alcune pagine di perfezione assoluta gli stilemi di un nostro possibile calvario post mortem: la condanna alla memoria priva di tempo, al cammino senza luoghi, allo spazio spoglio di orizzonte. Ma questo è lo stesso paesaggio, in qualche modo, che perseguita anche in vita il protagonista, gravato dai sensi di colpa, protetto e costretto dall'amore e dall'ambizione dei suoi genitori a piegarsi ai loro voleri cui si ribella nell'unico modo che intuisce possibile, certificando la propria incapacità a sostenere il loro sguardo, e organizzando la propria sparizione dal mondo.

Un libro dolentissimo e corrosivo. 

Philip Roth, Indignazione, Einaudi, Torino 2015

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