Natalia Ginzburg. Le voci della sera

25.04.2018

Pochi sono gli scrittori che una notte di insonnia può indurmi a rileggere: Mutis, Simenon, Kristof, Natalia Ginzburg, Arpino. Tutti autori essenziali, in cui lo stile diventa l'arma che permette al testo di lacerare l'anima del lettore, per scarnificarlo poi a suo agio una volta terminata la lettura.

Tra questi libri, Le voci della sera, di Natalia Ginzburg ha un posto d'onore. Sempre i suoi sono romanzi che lavorano instancabili riproponendo immagini accennate o quasi irrisolte, evocazioni, memorie; brandelli compiuti che non cessano di richiamarne altri, noti solo all'inconscio di chi legge, per comporre un puzzle il cui disegno mai si rivelerà stabilmente, e continuerà ad essere strenuamente inseguito. Ed è per questo che devono essere riletti, riesaminati, riconsiderati alla luce delle impercettibili ma determinanti mutazioni che la vita di ogni giorno comporta per ognuno di noi.

Ma in questo breve testo il gioco sfiora la perfezione. Praticamente nulla la trama, poco significanti i personaggi, il libro racconta il loro divenire persone durante, nonostante, e dopo il fascismo. Lo stile sobrio ed essenziale disegna un piccolo mondo possibile individuandone gli assi generativi, e facendone scorgere limiti e grandezze. Senza alcuno straripamento, ma inesorabilmente, la scrittura argina e descrive per accenni permeati di sodale ironia, accompagnando il divenire del racconto e obbligando il lettore a quel coinvolgimento che alimenta il rimpianto per l'ultima pagina letta, per il termine dello scritto: una rete stesa su un mondo ingrigito dalla polvere, per salvarne i pochi frammenti rilucenti.

Natalia Ginzburg, Le voci della sera, Einaudi, Torino 1961

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