Mario Soldati. Salmace

01.04.2017

Ho incontrato i libri di Mario Soldati per caso, in una casa che avevo preso in affitto arredata, libri compresi, alla fine del secolo scorso. Era un momento economicamente difficile della mia vita, e la lettura -come al solito- mi distoglieva dal pensare troppo ai perigli pratici dell'esistenza. Il padrone di casa, figlio del padrone dei libri, mi esortò ad approfittare dei testi poiché aveva già trasferito nella sua biblioteca quelli che, per affetto o per memoria, aveva il desiderio di tenere vicini. Non erano tantissimi quelli rimasti, la casa era una villetta di villeggiatura, ma Soldati era presente con tutti i suoi titoli più noti. A me piacquero i suoi libri, mi piacque soprattutto la felicità che emanavano, dovuta non tanto alla trama, condotta comunque con perizia, ma al piacere di scrivere che lievitava dalle sue pagine, dalla sua prosa scorrevole ma acuta, indagatrice e nonchalante allo stesso tempo. È quello che mi è rimasto impresso di libri come Lo Smeraldo, Le due città, La sposa americana.

Questo ricordo mi ha indotto ad acquistare in una bancarella di usato Salmace, opera di esordio ristampata da Adelphi all'inizio degli anni Novanta, Soldati ancora vivente. Certo il titolo erudito, così diverso dalla semplicità didascalica dei titoli di altri suoi libri, indicava una diversità latente, un altro approccio. È un Soldati poco più che ventenne che scrive una serie di racconti incentrati sullo scarto, sul caso, sulla difficoltà di condursi tra i sommovimenti emotivi che costellano la vita di ognuno di noi. Tutto questo con una prosa sapiente, a volte fin troppo leccata ma mai artefatta, e comunque già scorrevole, che indaga anfratti di anime perse a loro stesse, permeate dalla noia o dalla disperazione del vivere. Pulsioni emotive, scardinamenti psicologici, ripulse e desideri sono attraversati e narrati con una capacità esacerbata dalla giovinezza, descrivendo un paesaggio spento lontanissimo dal piacere di vivere (e di scrivere) che emanerà dalla sua prosa successiva. E anche i personaggi -l'ermafrodita, la prostituta, il padre traditore- vengono affrontati con lo sguardo svagato di chi satura nell'effimero il proprio vedere, come se alcun appiglio alla realtà gli fosse più permesso. È un libro assai bello che inaugura e termina un modo di raccontare: non è usuale assistere a un così repentino cambio di registro, e non è usuale nemmeno che tale cambiamento origini testi di uguale e diversa bellezza. Ah, la gioventù!

Mario Soldati, Salmace, Adelphi, Milano 1993

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