L. e la sua mamma

28.06.2018

Da alcuni mesi stiamo seguendo, al partito, la vicenda di L., un lavoratore licenziato da un impiego pubblico, che si è rivolto a noi chiedendoci di fiancheggiarlo nella sua rivendicazione. È una battaglia persa, lo sa lui come lo sappiamo noi. Perché oramai sono alcuni anni che è fuori, gli ammortizzatori sociali sono finiti, il tribunale gli ha dato torto, il sindacato di cui era delegato non lo appoggia. Pur essendo iscritto al PD, L. si è rivolto a tutte le forze politiche presenti in città, senza distinzione alcuna, come ha sinceramente ammesso. Il nostro partito, così minuscolo e senza appoggi, l'ha tenuto per ultimo; come tentativo estremo, e assai debole.

Io non ho una straordinaria simpatia per L. Non amo in generale l'esibizione delle proprie disgrazie, e il riserbo piemontese di cui sono intrisa non mi permette di chiedere per me. Anche quand'ero in fabbrica, battagliavo più volentieri se la rivendicazione si proponeva un esito collettivo piuttosto che un risultato personale. Per dire, non ho mai chiesto un livello pur avendone diritto, ma ho sempre combattuto perché i criteri di assegnazione degli avanzamenti di carriera venissero resi pubblici, e soprattutto trasparenti, nell'interesse di tutti i lavoratori. Ma non voglio farmene un merito; sono fatta così. L. vuole invece giustizia per sé: la sua -lo ammette- è diventata una guerra privata.

Dicevo quindi che ho partecipato alle poche azioni che abbiamo fatto per L. con convinzione ma senza entusiasmo, come a volte accade. E a volte mi sono anche codardamente sottratta alla sua disperante ostinazione, sapendola inutile. Conoscevo però la sua situazione personale, la sua vita solitaria con la madre anziana, e intuivo l'angoscia della vecchia signora per questo figlio caparbio e monomaniacale: me ne aveva parlato il compagno che segue più da vicino la questione, che ha cercato anche di dipanare un po' questo groviglio di spine dando il suo numero alla madre di L. che l'ha usato per sgravarsi il cuore dai timori per la loro difficile esistenza, assicurata attualmente solo dalla sua misera pensione. Erano rimasti, però, L. e la sua mamma, lontani dal mio animo, figure evanescenti confinate nel limbo laico di un problema politico.

Stasera sono venuti alla festa del partito. È comparso prima lui facendo il giro dei saluti di quelli che conosceva, e poi è andato a prendere la mamma che è arrivata camminando lentamente, aiutandosi con un bastone, sorretta dall'altro lato dal figlio che ne assecondava l'incedere periclitante. Mi hanno ringraziata, non so di cosa, visto che non abbiamo ottenuto altro che derisione nei nostri sforzi di riportare l'attenzione sul licenziamento di L. Dopo qualche tempo, finita la cena, si sono allontanati per tornare a casa, alla loro solitudine. E allora l'immagine di L. come l'ho visto la prima volta, con il suo voluminoso dossier di tentativi inutili appaiato alla catena per imprigionarsi a qualsivoglia luogo dove poter esibire la sua pena, mi ha raccontato una storia diversa, più lacerante, di diritti calpestati e di oltraggiose ipocrisie certo, ma anche di tentativi donchisciotteschi, e del coraggio di non abbandonare un sogno, anche con il rischio di farlo diventare un incubo in cui asserragliarsi desolati. E li ho amati un po' di più, L. e la sua mamma...

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