Filippo

21.04.2018

È arrivato così, con un nome umano che non gli avrei mai dato, ma che ho conservato in memoria di antichi ricordi: era il nome che noi fratelli davamo ai pesciolini rossi vinti alle giostre di piazza Vittorio, gli unici animali che accompagnavano per qualche mese la nostra infanzia priva di bestiole più ingombranti.

Un gatto difficile da gestire: leucemico, epilettico e restio a sporcare nella lettiera. Due volte al giorno la pastiglia di sedazione per la leucemia, dieci volte al giorno la pulizia del pavimento, l'unico posto dove sporcasse. Ma mai su tappeti, letti, scrivanie, mai per rabbia o per protesta, mi consolavo.

Tutto nero, il pelo semilungo e gli occhi verdi, era un gatto splendido. Timido e introverso, non riusciva quasi a far le fusa. Lo prendevo in braccio, esile e leggero; lui mi guardava spaurito. Poche volte sono riuscita a fargli percepire quanto il suo smarrimento di fronte alla vita fosse compagno del mio, quanto la fragilità che esibiva rispecchiasse quella della mia anima più nascosta, la fragilità che tento sempre e comunque di serbare per me, di mascherare.

Stazionava sul letto, poco interessato a giochi o carezze; eppure quel suo stare, mai guardingo ma sempre attento, annodava una silenziosa complicità. Mi si avvicinava, mi cercava, solo quando stava male, quando percepiva di non farcela da solo a sopportare il male che lo aggrediva. E anche allora, solo per il tempo necessario a riprendersi, a rinvigorire la sua difesa contro un'esistenza difficile che affrontava con determinazione e scarse risorse. Ha condiviso gli ultimi mesi con Lallo, altro micio difficile e malato, inavvicinabile dagli umani ma teneramente complice di Filippo. La foto li ritrae insieme, due anime taciturne che si incoraggiano a vicenda.

Non ho avuto il coraggio di accompagnarlo quando lo hanno addormentato; era già incosciente, mi hanno consolato i veterinari. Spero sia stato così, ma un dolore profondo, che mi divorava le viscere, corrodeva qualsiasi remota possibilità di vederlo andare via, di perdere per sempre il suo esempio. Ma così sono rimasta più sola. Non averlo saputo aiutare meglio è uno strazio che non ho ancora superato.

Addio, mio piccolo, coraggioso guerriero. 

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