Corrado Passi

19.02.2023

Esprimo un concetto banalizzandolo, ma mi pare che la narrativa odierna sia, in larga misura, afflitta da ipertrofia: possono essere ipertrofiche le trame, e a questo eccesso sono da annoverare il pullulare di noir più o meno ben costruiti, la ricerca spasmodica del coup de théâtre, la proliferazione di personaggi inutili; oppure l'ipertrofia si manifesta nello stile, e in questo caso a farne le spese è la leggibilità del testo che viene a somigliare più a un'antologia di ardite, e spesso peregrine, similitudini piuttosto che a una narrazione in cui riconoscersi o disconoscersi per affrontare la fatica del vivere: che, per quanto mi riguarda, è quello che chiedo a un libro.

Nessuno di questi due pericoli affligge l'opera di Corrado Passi: da un lato la precisione della scrittura non si abbandona mai a lirismi gratuiti, ma utilizza le mille possibilità del lessico per circoscrivere con precisione l'azione, coinvolgendo il lettore e trascinandolo nel suo benefico gorgo. Dall'altro la realtà in cui sono immersi i protagonisti viene condannata a una banalità quasi servile, amplificando in questo modo quello che è il vero focus del suo narrare: l'esattissima descrizione dei sommovimenti emotivi che governano l'anima dei suoi personaggi. È sismografica, la scrittura di Passi, perché nel suo fluire attraverso le mille fenditure dello spirito, attende il terremoto: che può essere anche solo una minuscola rivelazione che riverbera su tutte le pagine lette una luce nuova, o un risvolto inatteso, e potente, che termina il libro.

Ma una cosa è certa: in questo mondo di clamori assordanti e silenzi abissali, la voce narrante di Corrado Passi, attenta a ogni increspatura emozionale, lenisce il nostro continuo frastornare e ci fornisce indizi importanti per interpretare il nostro cammino: che è quello che chiedo a un libro.

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