Con ogni mezzo necessario

31.03.2018

Un compagno mi ha regalato un libro appena uscito sulla lotta armata in Italia "dalla fine degli anni Ottanta ad oggi", come recita parte del sottotitolo. Non è argomento che mi appassiona, ma ogni qualvolta un testo mi viene donato non posso che leggerlo con attenzione, timorosa che una mia indifferenza potrebbe minare il legame di amicizia e solidarietà che sempre si instaura tra donatore e destinatario del regalo. E così ho iniziato la lettura.

Il libro ospita le biografie di otto compagn* che nell'epoca indicata hanno praticato la lotta armata, ribellistica o rivoluzionaria a seconda del percorso politico che avevano alle spalle. E sono stati tutti, in modo più o meno cruento, schiacciati dal potere.

È un libro che genera dolore, rabbia, emozione. La scrittura è tesa, spesso spezzata ma mai discontinua, sostenuta da un ritmo che origina dalla solidarietà sentimentale che si è instaurata tra gli autori e i loro protagonisti. E questa empatia innerva il racconto, si svela in ogni frase.

Il libro si dichiara, ed è, di parte, ma non edulcora la realtà, non scade mai nell'agiografia; descrive una stagione difficile cercando di disseppellirla dalla vergognosa narrazione che ne ha dato il potere; e ne fa emergere le ragioni fondanti, valide, seppur sfiancate, ancor oggi. Tali ragioni -in questo testo solo adombrate, intramate nelle biografie ma non sciorinate esplicitamente- saranno l'oggetto di un tomo successivo, avendo l'editore preferito sezionare in due l'opera per non far lievitare troppo il costo del volume.

Finita la lettura ne ho parlato con il compagno "donatore". È una mia prassi usuale, che si coniuga all'impegno di lettura cui ho accennato sopra, ma in questo caso è stata dettata da un'urgenza emotiva supplementare, per il groviglio di sensazioni che la lettura mi aveva generato su cui troneggiava, violenta e cupa, l'aura di solitudine irredimibile che quelle biografie disegnavano. Vite schiacciate dal potere, dicevo: suicidi, omicidi di stato, rinunce mortifere, rassegnazione. Com'è possibile coniugare tutto questo con un'ipotesi, pur remota, di rivoluzione? Ipotesi che vive nel conflitto di classe, ma che si spegne nella lotta individuale per quanto eroica? E allo stesso tempo: come possiamo però, tutti noi, chiamarci fuori dall'impegno imprescindibile di rivoltare questa società se non siamo in grado di accettarne fino in fondo, per combatterla, la violenza che esprime? E se questa violenza ci impone scelte personalistiche, che distanziano dalla classe ma aiutano a far sopravvivere l'istanza rivoluzionaria, quale può essere il percorso "corretto" per non scadere nell'autoreferenzialità? Domande ardue per me, ma sono contenta che questa lettura me le abbia poste.

Il compagno mi ha consigliato di aspettare la seconda parte del libro per trovare il filo conduttore di questa esperienza che, così come narrata adesso, può apparire scompaginata, irrisolta. Certo leggerò con ancor maggiore attenzione la continuazione del testo; in attesa mi è venuto a mente Balzac, narratore attento di un altro passaggio epocale, quando parlando degli Studi filosofici della Comédie humaine, li indica come "la seconda parte dell'opera, [quella] dove il tramite sociale di tutti gli effetti si trova dimostrato, dove le rovine del pensiero sono dipinte, sentimento per sentimento". Lo so, non c'entra nulla; ma forse il cortocircuito tra ragione, emozione e tramite sociale evocato da Balzac può far intravvedere il cammino da percorrere anche adesso per scansare solipsismi e velleità. Non riuscendo (ancora) a svellere la vecchia cultura borghese, mi tocca ad usarla...

Paola Staccioli, Alfredo Davanzo, Con ogni mezzo necessario. Militanti dei percorsi rivoluzionari in Italia dalla fine degli anni Ottanta a oggi, Red Star Press, Roma 2018

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