Capiamoci. Su Underworld di Don DeLillo

12.04.2024

I libri sono amici pazienti e silenziosi; aspettano senza fretta il loro turno, fintamente addormentati in un angolo di libreria, sulla sponda di un comodino. Così ha fatto Underworld, di Don DeLillo: ha atteso qualche anno che io fossi pronta per leggerlo, accontentandosi di essere sfogliato, e poi riposto, ogni tanto. DeLillo è un autore che amo, che ritengo fondamentale leggere; ma, abituata alle sintesi travolgenti -e stravolgenti- dei suoi libri di minore stazza, non sapevo come rivolgermi a quel libro, impressionata dalla sua voluminosità, poco attratta da una quarta di copertina troppo didascalica per coinvolgermi. E invece…

Invece Underworld è IL LIBRO, quello che bisogna leggere per intravedere il futuro, iniziare a fermarne i contorni sfrangiati e impadronirsi di strumenti utili alla sua divinazione. È un libro in cui DeLillo, utilizzando magistralmente ogni potenzialità della scrittura, ci rivela la struttura del nostro mondo frastornato analizzandone le crepe, le fratture, le discontinuità. Si affacciano, in Underworld, moltissimi dei temi che poi verranno dissezionati nei libri successivi: il rapporto con la morte di Body art e Zero K, l'atomizzazione del tempo di Cosmopolis e Punto omega, il dilagare della virtualità reale negli schermi di Zero K; potremmo continuare. Ma leggere Underworld permette di incastonare ogni singolo, prezioso tassello posteriore, in quello che è la descrizione puntuale e parcellizzata del nostro male di vivere attuale.

Poco importa che i riferimenti temporali, puntigliosamente elencati nel libro, siano lontani dal nostro presente; proprio nel loro dispiegarsi affonda la forza del libro, la sua capacità di evocare quelle risonanze simboliche di cui siamo così desiderosi, di individuare una cartografia capace di orizzontare la nostra solitudine siderale. È proprio attraverso la frammentazione continua del tempo, l'intersecarsi di realtà e finzione, l'affastellarsi e disgregarsi di temi e nostalgie che DeLillo tratteggia l'unica descrizione esaustiva ormai concessa: che non è, sia chiaro, né il regesto di un qualsiasi bel tempo andato, né la descrizione esasperata delle minutaglie quotidiane, né la ripetizione mantrica delle nostre ossessioni; ma è tutto questo insieme. E questa operazione permette a DeLillo di sfuggire al mortifero, seppur allettante, desiderio di rimodellare una qualsiasi lettura totalizzante del nostro tempo per donargli alfine, a questo nostro tempo così indecifrabile, la possibilità di essere riconosciuto nella sua indeterminatezza costitutiva.

Capiamoci. Davvero.

Don DeLillo, Underworld, Einaudi, Torino 1999

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