Antonio Pennacchi. Canale Mussolini

05.05.2011

È il libro che ha vinto il premio Strega nel 2010, e anche se non ritengo tale circostanza un'indicazione di sicura qualità, me lo sono trovato in mano e ho cominciato a leggerlo, incuriosita dal titolo e dalle notizie biografiche sull'autore in terza di copertina, operaio fino a cinquant'anni nel turno di notte alla Ceat Cavi di Latina.

La forma letteraria data alla narrazione è quella di un lungo "filò", i racconti che -in assenza di televisione- scandivano le serate delle famiglie contadine riunite nelle stalle a far passare inverno e "nuttata"; questa scelta rende il libro scorrevole anche se, a volte, apparentemente grezzo.

L'argomento è la bonifica dell'agro pontino ottenuta attraverso lo scavo del canale Mussolini che dà il titolo al libro, anche se poi in realtà l'epica operazione è descritta, certo, ma relegata a un capitolo poco appariscente nel contesto generale del racconto.

Il narratore, la cui identità non viene svelata fino alla fine, è persona dei giorni nostri, inframmezza paragoni con la realtà sociale odierna, scherza e polemizza con il suo fantomatico interlocutore (tutti noi lettori, è ovvio) e partendo dall'esodo dei mezzadri polesani e ferraresi all'inizio degli anni '30 arriva a sfiorare l'attualità concentrando però l'attenzione sui primi trent'anni, il che significa parlare dell'attuazione del faraonico progetto e degli effetti che tale emigrazione scatenò da un punto di vista sociale: questo gli dà la possibilità di declinare in maniera disincantata temi attuali come integrazione e razzismo, visti con gli occhi della gente comune.

Ma sicuramente la parte più intrigante, irritante e coinvolgente del libro, per me, è quella iniziale dove viene raccontato l'emergere, il consolidarsi, lo strutturarsi del fascismo come movimento di massa e il suo radicarsi nella classe contadina attraverso parole d'ordine così socialisteggianti da essere irriconoscibili per la gente comune: dopotutto, con la bonifica, non veniva data la terra ai contadini? certo con qualche piccolo distinguo... E questa immersione nel "luogo comune" del sentire popolare inizialmente mi ha infastidito tanto da rischiare di farmi abbandonare la lettura: però se da un lato mi sembrava che l'adesione al nascente partito fascista o al partito socialista venisse banalmente semplificata come una versione edulcorata degli italiani "fascisti o comunisti per caso", dall'altro sentivo che il libro nel profondo attivava ragioni e riflessioni che, mutatis mutandis, mi perseguitano nella pratica politica, e che hanno a che fare con una molteplicità di "sofferenze": con la distanza o la prossimità che i comunisti riescono ad avere con la classe di cui parlano tanto ma che spesso fanno fatica a comprendere, in primo luogo, ma anche con certa retorica della resistenza che dipinge gli italiani tutti come antifascisti inveterati portati al macello da un pugno di facinorosi; e ancora, dilaniando alcune essenziali viscere ideologiche, con l'equilibrio sempre da ricercare tra storia con la esse maiuscola e con la esse minuscola, tra anelito ideale e analisi della fase. In questo senso, almeno per me, Canale Mussolini è stata una lettura molto politica.

E allora ho capito che anche il titolo, che ha infastidito molti a giudicare dagli interventi sul blog di Pennacchi, è certo una scelta di sano realismo, ma è soprattutto una chiave di lettura dell'epoca sottoposta al vaglio dell'autore, un invito ad analizzare con ancor maggiore attenzione quello che il fascismo (il "canale" Mussolini, appunto) ha trasportato e sedimentato nella società italiana odierna. Può essere fatto, certo, con alate disamine sul pensiero gramsciano o sul ruolo del partito comunista clandestino; il libro di Pennacchi ci narra l'epopea dei comprimari attraverso la storia di una famiglia inventata ma possibile, rendendo felicemente palpabile la straordinaria intuizione baudelairiana che indica nell' "immaginazione la regina del vero".

Antonio Pennacchi, Canale Mussolini, Mondadori, Milano 2010

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